Il pensiero pedagogico
Cosa si intende per felicità?
Si può veramente educare alla felicità o è solo un’utopia?
Se per felicità si intende non un traguardo, ma un processo dinamico durante il quale si possono sperimentare i diversi talenti che ognuno racchiude, allora si!
Negli ultimi anni si parla sempre più di educazione alla felicità o al benessere (Positive Education) ed è un tema che ha coinvolto diversi pedagoghi provenienti da paesi anche lontani tra loro.
Secondo un pedagogo vissuto in Giappone nei primi anni del ’900, Tsunesaburo Makiguchi (1871 – 1944), la finalità dell’educazione dovrebbe corrispondere alla finalità di tutta l’esistenza umana.
Tutti gli esseri umani, in ogni parte del mondo, hanno in comune un profondo desiderio di benessere, vivere bene la relazione tra l’io e l’altro.
Makiguchi era dell’idea che tutto il sistema educativo dovesse servire a coltivare le peculiarità individuali a beneficio della comunità ed è in questo processo di creazione di valore che si può realizzare una vita felice.
Tra i 0 e i 3 anni, nello sviluppo di un bambino, avviene il delicato passaggio dal proprio mondo a quello popolato dai suoi coetanei insieme ad altre figure all’infuori della famiglia.
In questo passaggio tra soggettività e oggettività, il bambino si adatta all’ambiente esterno il più delle volte spinto dal desiderio di accettazione e gratificazione.
È proprio in questa delicata fase della crescita, che il bambino dovrebbe essere lasciato libero di
ricercare e di manifestare il suo modo unico di leggere la realtà, incoraggiandolo, semmai, ad accogliere in un confronto costruttivo gli stimoli che arrivano dall’altro diverso da sè.
Per assicurare al bambino questo spazio vitale, la nostra equipe ha scelto un approccio educativo ispirato alla maieutica reciproca, eredità di Danilo Dolci (1924 – 1997), un educatore oltre che poeta e sociologo, attivista della nonviolenza in Italia.
Dolci parlava dell’educarsi maieutico, ovvero educare se stessi insieme agli altri in una relazione per l’appunto reciproca.
In questa particolare relazione educativa, occorre “stare dentro” riuscendo a costruire sia un rapporto con il gruppo, che un rapporto personalizzato con il singolo bambino, rispettando e valorizzando i tempi individuali di autonomia e le diverse competenze socio-cognitive.
Il ruolo dell’educatore, secondo la nostra visione, si configura quindi nella funzione di facilitatore del processo di apprendimento; è colui che fornisce stimoli, provoca quesiti che spetterà al bambino sviluppare e risolvere sentendosi “appoggiato” emotivamente.